Il telefono: come è cambiato da Meucci a Steve Jobs

by Vittore Zetticci

Se siete abbastanza adulti da ricordare il telefono con la tastiera a disco rotante della nonna, non faticherete a rendervi conto di quanto questo strumento sia cambiato nel corso degli anni. Oramai, nel 2020, sembra sorpassato persino il cordless, nonostante abbia rappresentato una vera e propria rivoluzione del mondo della telefonia.

Anzi, lo stesso telefono fisso sembra essere “preistorico”. Soprattutto ora che comunichiamo con WhatsApp, Zoom, Google Meet, Skype e chissà cos’altro. L’evoluzione della tecnologia va talmente veloce da costringerci a dimenticare la storia di un oggetto. O a non conoscerla affatto. Ecco perché oggi abbiamo deciso di raccontarvi come è cambiato il telefono, così da sapere davvero da dove ha origine uno dei dispositivi a cui oggi siamo più affezionati.

Il litigio tra Bell e Meucci, ossia la nascita del telefono

La nascita del telefono nasconde una storia piuttosto curiosa. Ufficialmente, il suo inventore è Alexander Graham Bell, un ingegnere britannico che depositò il brevetto de “il metodo e l’apparato per trasmettere la voce o altri suoni per mezzo di ondulazioni elettriche”. Era il 7 marzo 1876, e Bell si guadagnò un posto nella storia rubando l’idea all’italiano Antonio Meucci. Questo fiorentino emigrato a New York aveva già inventato il telettrofono nel 1854, uno strumento che utilizzava in casa per parlare con la moglie, costretta a letto da un’artrite deformante.

Meucci non godeva di una grande prosperità economica, e così si poteva permettere soltanto il pagamento di un brevetto temporaneo. Era il 1871, e nessuna compagnia telegrafica dimostrò interessare per il suo progetto. Alexander Bell, però, notò immediatamente le grandi potenzialità del progetto dell’italiano. E così depositò il suo personale brevetto definitivo nel 1876, guadagnando il titolo di “inventore del telefono”. Il povero Meucci decise di fargli causa ma, data la sua sfortuna, la perse.

Solo una decina di anni dopo la Corte Suprema degli Stati Uniti riconobbe per la prima volta la ragione del fiorentino. Ma era troppo tardi. Nel frattempo Bell era riuscito a costruirsi un vero e proprio impero delle telecomunicazioni, grazie al successo della sua Bell Telephone Company. Una storia triste quella di Antonio Meucci, che si vide riconoscere la paternità del telefono soltanto nel 2002, quando oramai questo dispositivo aveva assunto tutt’altro forma e connotazione sociale.

Habemus telefono!

Il telefono di Bell si componeva di un microfono (il trasmettitore) e di un altoparlante (il ricevitore), collegati tra loro da un circuito elettrico dotato di una batteria in serie. In sostanza, parlando all’interno del trasmettitore la voce arrivava direttamente all’orecchio di chi teneva tra le mani il ricevitore. A grandi linee, esattamente come funziona oggi. Prima di questo dispositivo c’erano stati prototipi di ogni genere, incluso il cosiddetto “telefono dell’amante“.

Non si tratta altro che di un due latte, collegate tra loro da un filo o una corda. Parlando tenendo la latta vicino alla bocca, le vibrazioni della voce corrono lungo il filo e arrivano amplificate all’orecchio dell’interlocutore. Il telefono senza fili con cui vi divertivate a prendere in giro i vostri amici alle scuole elementari. Solo che noi lo utilizzavamo per far ripetere ai nostri compagni parole prive di senso, e i coetanei di Bell per tutte le comunicazioni importanti. Il mondo cambia davvero nel giro di 150 anni, non trovate?

Nei decenni a seguire fu tutta un’evoluzione continua. Arrivarono prima i quadranti rotanti, molto utili ma incredibilmente scomodi. Per comporre un numero di telefono si doveva far girare una ruota su cui si trovavano scritti i numeri. E nel caso di errore, si doveva ricominciare tutto da capo. Una sorta di agonia in una fase di emergenza. Negli anni ’30 arrivarono poi i cosiddetti telefoni a candelabro. In sostanza, si componevano di una base che fungeva da trasmettitore – il candelabro, per l’appunto – e di un ricevitore, che si doveva tenere all’orecchio per tutto il corso della chiamata. Di lì a poco il ricevitore prenderà la forma della cornetta, considerata uno degli elementi distintivi del dispositivo.

Nel corso degli anni, i telefoni a candelabro scompaiono e le case cominciano a riempirsi di stravaganti telefoni a parete: ingombranti, ma funzionali. Fortunatamente, tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento cominciano ad arrivare i primi telefoni collegati con un cavo alla presa telefonica. Poi arriva anche la tastiera. E finalmente questo dispositivo comincia ad avere l’aspetto (o quasi) che tutti noi oggi conosciamo.

Motorola e il primo cellulare

Nel corso degli anni ’70, mentre il telefono fisso cambiava forma e si preparava a diventare cordless, Martin Cooper lavorò al primo cellulare della storia. Per l’esattezza, il 3 Aprile 1973 questo giovane ingegnere alle dipendenze di Motorola usò un cellulare per chiamare Joel Engel dei Bell Labs, uno dei maggiori competitor nel settore della telefonia. A quanto pare, queste sarebbero state le parole di Cooper: “Ehi Joey, sono Martin. Ti sto chiamando da un cellulare, un vero cellulare”. Il giovane ucraino, assunto da Motorola nel 1954, si prese giustamente il merito di una delle invenzioni più incredibili della storia, a cui aveva lavorato per quasi vent’anni.

Il cellulare da cui chiamava Cooper era il prototipo del Motorola Dynatac 8000x, lanciato sul mercato sol nel 1983, dopo ben 10 anni di interventi di perfezionamento e migliorie. Quanto al suo aspetto, lasciateci dire che non era proprio come ce lo immaginiamo. Giusto per darvi un’idea: il telefono pesava 1.1 Kg, non aveva lo schermo ma possedeva un’antenna, ed era dotato di una batteria della durata di circa mezz’ora, con un tempo di ricarica di 10 ore. Quando fu lanciato sul mercato, costava ben 4000 $. Un investimento che potevano permettersi soltanto pochi fortunati.

Il Motorola di Cooper possedeva già qualche funzione interessante, come la possibilità di memorizzare 30 numeri o quella di utilizzare tasti per il volume, la richiamata e il blocco. Ma era davvero molto pesante per poter essere considerato un telefono portatile, diciamo così. Negli anni a seguire, quindi, le diverse aziende del settore non fecero altro che lavorare per risolvere questo “problema”.

Dal cellulare allo smartphone: trent’anni di evoluzione

Diciamoci la verità: portare in giro un cellulare di un chilo non doveva essere proprio comodo. Ammesso che qualcuno riuscisse davvero ad uscire di casa mettendo in tasca il telefono. Fortunatamente, prima ancora di diventare nota per Snake ed il 3310, Nokia riuscì a lanciare sul mercato un cellulare più leggero, il Mobyra Cityman 900, passato alla storia con il nomignolo di “Gorba” perché immortalato tra le mani di Michail Gorbačëv in uno scatto dell’epoca. L’aspetto era molto simile a quello del precedente Motorola, ma con un peso leggermente minore: 800 grammi.

Siamo nel 1987, quando ancora le grandi compagnie stanno lavorando per migliorare il progetto di Martin Cooper. Ma ecco che nel 1992 IBM stupisce tutti lanciano il primo prototipo di smartphone della storia. Si tratta di Simon, un dispositivo privo di tastiera fisica, ma dotato di uno schermo tattile che poteva essere gestito attraverso un pennino. Un antesignano del Note? Qualcosa di simile. A differenza dei suoi predecessori, Simon era dotato di calendario, calcolatrice, blocco note, orologio mondiale e client di e-mail. E come se non bastasse, per la prima volta un telefono veniva venduto con un videogioco installato, Scramble.

L’idea di IBM piacque particolarmente a Nokia, considerata una delle aziende leader del settore della telefonia negli anni Novanta. Ed ecco che nel 1996 compare sul mercato il modello 9000 Communicator, il primo telefono con tastiera estesa che permetteva di inviare e ricevere e-mail. E questa non era la sola novità. Il telefono di Nokia era dotato di un doppio display e di una batteria al litio che assicurava una durata di 35 ore in standby e di 3 ore di conversazione. Un bel balzo in avanti in appena 10 anni di storia.

Negli anni a seguire i successi di Nokia furono incredibili. Arrivò il 5210, il primo cellulare resistente all’acqua, e poi il 3210, il primo con il sistema di scrittura T9 – una sorta di scrittura intuitiva, per chi non lo sapesse -. Poi l’incredibile 3310, di cui furono venduti ben 126 milioni di pezzi. E poi ancora il 3510, il primo telefono dotato di GPRS integrato ed anche di un display a colori. Insomma, l’azienda finlandese ha davvero aperto le danze ad un settore che si è evoluto in maniera rapidissima. Tanto da renderci davvero difficile seguire passo dopo passo la storia del telefono.

Facciamo un grande salto in avanti e arriviamo al 2007, quando Apple presenta il suo primo iPhone e cambia radicalmente il concetto di cellulare. E di telefonia. È bastato un decennio per permettere al mercato di rendere il telefono uno strumento irrinunciabile, utile per qualunque funzione e non solo per quella delle semplice chiamate. A differenza dell’epoca di Cooper, in cui il cellulare veniva considerato un oggetto per pochi eletti, ora è assolutamente il contrario. Tutti siamo ossessionati dalla corsa all’ultimo modello, contribuendo così ad una vera e propria rivoluzione sociale. Quella in cui guardiamo il display anche quando siamo seduti a tavola, anziché guardarci negli occhi.

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